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giovedì 3 marzo 2016

GENOVA STORICA E GOLOSA: LE ANTICHE CUCINE DI PALAZZO SPINOLA DI PELLICCERIA

Una dimora storica tra i budelli stretti dei caruggi del centro storico di Genova.


Un palazzo nobile, appartenuto alla famiglia Spinola, ma non solo, un poco fuori dal classico percorso museale indicato da tutte le guide turistiche, che racchiude tesori nascosti.
Edificato nel 1593 per volere di Giacomo Grimaldi, nei secoli fu l'abitazione di molte famiglie nobili genovesi.
Qui è passata tutta la borghesia più altolocata della città, hanno ballato, danzato, cenato e gozzovigliato fino al 1958 quando gli ultimi eredi Franco e Paolo Spinola hanno voluto donare questo gioiello, assieme ai supellettili, gli arredi, la quadreria, gli argenti e i libri allo Stato.
Con un unico vincolo, quello di mantenere l'aspetto di antica dimora nobiliare a testimonianza della civiltà dell'abitare.

E da qui voglio partire per raccontarvi una piccola perla costudita nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola.

Al piano mezzanino si trova una delle più rare testimonianze di cucina ottocentesca.
Cristallizzata come se il tempo non fosse mai trascorso.


Sul grande tavolo di legno, che troneggia nel mezzo dell'ambiente, sono esposte antiche copie di trattati di cucina, tra cui l'Artusi e i conti di cucina, debitamente compilati dal cuoco, a testimonianza dei regali banchetti che in questo luogo venivano preparati.



E così leggendoli, sappiamo che il cuoco Giuseppe Macchiavello il 24 giugno 1813 spese la stratosferica cifra di 464 lire per allestire il banchetto nuziale di Giulia Spinola, sorella di Giacomo, l'allora proprietario del palazzo, nel quale vennero servite ben 36 pietanze.
Oppure, un altro cuoco, per una cena invernale di qualche anno dopo, l'8 febbraio 1826 portò in tavola come primo piatto i principi della cucina genovese: i ravioli in brodo, seguiti da pasticcio di tordi, grigliada di cotolette, cappone bollito, rosto di pernice, e successivamente il pesce: ostriche e datteri di mare.
Come contorno, furono servite le trifole bianche, incursione francese dei tartufi nella cucina italiana, ma il cuoco probabilmente preferì quelli bianchi nostrani e pregiati di Alba.
Chiudono definitivamente il pasto, gelatina al Rhum e canestrelli.

Ma passiamo ai pezzi forti, il ronfò e la caldaia, dove ovviamente questi piatti venivano preparati.


Innanzitutto abbiamo davanti a noi un esempio spettacolare di cucina in muratura (detta ronfò in genovese) della quale vi ho già parlato nel post su Casa Valéry. Qui troviamo tutti gli elementi intatti, il forno a legna, la grixella, la griglia, sotto la quale ardevano le braci vive, pentole di terracotta, e in basso gli sportelli, che servivano per alimentare il fuoco con il carbone.

Da notare, la piastrellatura dei bordi in ceramica bianca (ciapelle) , una modenizzazione igienica per quell'epoca. Consentiva la pulizia della cucina in un batter d'occhio, infatti tutto quel carbone creava molta càize (fuliggine) e spesso questi ambienti risultavano anneriti.
In questo particolare si vede la grixella, aperta per esposizione, con sopra appeso una classica pügnatta de rammo, pentola di rame, appesa da una cadenha, catena, in modo che pietanza in essa contenuta non pigli o scotizzo, a diretto contatto con il fuoco.
O scotizzo, termine intraducibile della cucina genovese, sta a indicare quando, per esempio il minestrone, si attacca sul fondo e prende quel gusto di rifritto, di bruciaticcio, che, in questo caso non guasta, ma in altre pietanze potrebbe dar fastidio.






Accanto una selezione di utensili in ferro fanno bella mostra di se.

Da destra sono appesi:
una paletta o paetta, per raccogliere le braci,
un'altro utensile che serviva per tirare su i cerchi roventi della caldaia, rampin o feru da stiva,
e diverse misure di cassa, il mestolo di ferro,
ma pure una cassarea, la schiumarola. 

 




Altra particolarà è la caldaia: un sistema innovativo di tubi, tuttora visibili, forniva ai lavandini adiacenti l'acqua calda. Veniva inoltre anch'essa utilizzata per cucinare, grazie al suo piano superiore, sempre caldo.


A lato è presente un grande piano di marmo (a ciappa do lavello), tipico della cucina genovese, dove sono inclusi due grandi lavelli, lavandini, che io immagino affollato di povere sguattere, serve, intente ad arrüxentà (risciacquare) i piatti sporchi dei suntuosi banchetti nobiliari, ma almeno con l'acqua calda, proveniente dalla caldaia, e che usciva da questi preziosi bronzin, rubinetti, di ottone.


E attorno, completano la scena, bottiggie, bottiglie, arbanelle, vasi, pugnatte, pentole tutte rigorosamente di terracotta, che servivano sia per la cottura che per la conservazione degli alimenti.


Ma vedete nell'ombra quella ruota, di ferro sulla destra?
Stupidamente ho dimenticato di fotografarla meglio, sappiate che era un sistema innovativo di montacarichi, per far arrivare le vivande calde nelle sale da pranzo nei piani superiori e che nel 1915 Ugo Spinola, padre di Paolo e Franco i due donatori, lo fece mecanizzare elettricamente creando un sistema altamente tecnologico per l'epoca.


In una stanzetta attigua, si trovano un piccolo ronfò e un lavandino.
Pure un tavolo per impastare dove troneggiano gli strumenti tipici di quest'arte: u canello, il mattarello e u siasso, il setaccio usato per separare a fënha, la farina, dalle impurità.
Questa probabilmete, ma non è dato sapere, era una cucina per il personale di servizio. Oppure è stata successivamente spostata qua, per liberare altre sale e renderle più accoglienti.



Un piccolo anedoto, pare che fino al XVII secolo, e forse anche oltre, sguatteri e servi, dormissero tra le mura di questa cucina, dove le braci dei ronfò che si spegnevano riscaldavono l'ambiente ed era così più facile superare le rigide nottate invernali.

Eccoci arrivati alla fine del racconto.
Mi preme ringraziare il personale di Palazzo Spinola, che gentilmente si è offerto nel guidarci tra le sue sale.
In Piazza di Pellicceria 1, tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.00 (lunedì escluso) i gentili "custodi" di quest'antica dimora, vi condurranno tra le lussuose stanze di questo palazzo facendovene innamorare.

Indirizzo Utile:
Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
Piazza Di Pellicceria 1
16123 Genova
 tel. 010 2705300



P.S. Dato che il genovese è una lingua che cambia da paese a paese, e spesso viene confusa con il ligure, mi preme specificare, che tutti i termini elencati in questo post sono tratti da:

- Vocabolario Domestico GENOVESE ITALIANO - 
di Padre Angelo Paganini 
scritto nel 1857
ristampato da De Ferrari Editore nell'anno 2000 con prefazione e appendice di Vito Elio Petrucci.

Per le date e le notizie storiche altra mia fonte preziosa è stata:

Genovesi a tavola nell'Ottocento
I Raggi e gli Spinola
a cura di Farida Simonetti
Sagep Editore, 2004 

Quindi, tutti i commenti sono ben accetti, specialmente se volete proporre nuovi termini, in base alla vostra provienienza...  ma non mi venite a fare predicozzi su come sono scritte le parole zeneize perchè son tratte da fonti ben attendibili e confutabili.















lunedì 30 novembre 2015

GENOVA SEGRETA: PAUL VALERY E I SEGRETI DI PALAZZO MONTANARO

Esistono posti magici e incantati.
Che non ti aspetti, conservati nel tempo, dove varcando una soglia torni indietro di almeno un secolo.
All'epoca di Paul Valéry, poeta, filosofo francese, di madre genovese e padre corso, che Genova ospitò spesso, nella dimora degli zii Cabella, e qui visse un'esperienza davvero drammatica per la sua vita di poeta.

Ma andiamo con ordine, così posso farvi capire meglio i fatti e, cosa effettivamente, c'entri Paul Valéry con la cucina.

Mi trovavo a girovagare per il centro storico, quando mi sono incamminata per salita San Francesco.


 Davanti al civico 7, sopra il portone, mi ha attirato una targa commemorativa.


Quindi mi sono messa a cercare informazioni sul web e, casualmente ho scoperto che l'Associazione Genova Insieme, organizza delle visite guidate a questa residenza.
Poteva la curiosità trattenermi dal "ficcanasare" in una casa conservata ancora come se il tempo si fosse fermato a metà 800?

Per capire ancora meglio un poco tutta la storia dobbiamo tornare indietro al 1600 quando intorno a quest'area, dove ora sorgono palazzi signorili davvero belli, vi era un convento, dedicato a San Francesco, ricco di sculture e affreschi, che durante i bombardamenti di Re Sole nel 1648 venne parzialmente distrutta, qui nei secoli successivi fu deciso il suo smantellamento.
Ora vi chiederete perché vi sto raccontando questo: ecco cosa si pone davanti ai vostri occhi: una volta varcato il portone di Palazzo Montanaro, al civico 7 di Via San Francesco, dove soggiornò Paul Valéry a fine XIX secolo.
Parte del Chiostro del convento, in tutto il suo splendore.

Dans la maison de mon oncle, si je sors c'est dans l'escalier une chapelle du XIIème siècle, et le murs couverts de créatures en marbre, anges et taureaux
(Paul Valery descrive così l'atrio del palazzo)




E se, prima di entrare nel portone, sbirciate la parte anteriore del pallazo accanto (Palazzo Galliera) troverete le colonne della navata del convento di San Francesco, incastonate nella facciata.

Tutto questo per farvi capire, quanti piccoli misteri e segreti, si trovino a Genova, solamente passeggiando per le vie della città antica.


Ora saliamo al piano nobile, ed entriamo all'interno della dimora, ove, la proprietaria ci accoglie con gentilezza e ci mostra la sua casa.

Sembra di sentire i passi di Paul Valéry, di quando sua cugina Gaeta Cabella, avvenente donna della Genova aristocratica, dava feste e organizzava salotti letterari tra queste mura. Si sente il vociare lontano, di uomini, i maggiori esponenti intellettuali genovesi dell'epoca.

Un susseguirsi di stanze, piccoli salotti, specchi, stucchi, splendidi lampadari dalle lavorazioni pregiate e tappezzerie di seta. Una meraviglia.
E poi, ti affacci a una finestra e vedi tutto questo.


Questa città. tutta visibile e presente a se stessa, rifilata con il suo mare, la sua roccia la sua ardesia, i suoi mattoni, i suoi marmi. In lavorio continuo contro la montagna. 
Scrisse il poeta durante il suo soggiorno nel 1892


Ha una distesa di cupole, di monti calvi,
di mare, di fiumi, di neri fogliami, di tetti rosa.
E quella Lanterna così alta ed elegante,

e meandri popolosi, labirinti affollati,

le cui viuzze salgono, scendono, si intersecano improvvisamente,

sbucano sulla veduta del porto.

Genova, una città piena di sorprese.

Di porte scolpite in marmo, ardesia, casse, formaggi, scale,

biancheria al posto del cielo, cancellate,

bizzarro dialetto dal suono nasale e irritante,

dalle abbreviazioni strane, vocaboli arabi o turchi.
Mentre Firenze si contempla
e Roma si sogna
e Venezia si lascia vedere.
Genova si fa e rifà.

(Paul Valéry raccontando Genova)
 


E proprio da queste finestre, la notte tra il 4-5 ottobre 1892, entrò la luce della tempesta. Lampi e tuoni, scossero l'anima del poeta tanto da fargli voltare pagina e rinnegare tutto ciò che era per lui la poesia fin ad allora, votando l'esistenza all'intelletto.


"NUIT EFFROYABLE...

PASSÈE ASSIS SUR MON LIT...

ORAGE PARTOUT

...ET TOUT MON SORT

SE JOUAIT DANS MA TÊTE..."



Altre foto della casa non posso mostrarvi, in quanto privata, non è consentito scattare, ma la proprietaria saprà egregiamente guidarvi tra le stanze, lasciando un ricordo indelebile di questo luogo nel vostro cuore.

Ora passiamo alla parte più "plebea" della dimora, quella che mi ha portato a raccontarvi tutta questa storia: la cucina.

Anche qui sono conservati oggetti e mobili dell'epoca. Come questo Ronfò meraviglioso, originale, ancora funzionante ma, per ovvi motivi pratici, in disuso.




Ronfò, che strana parola, penso tipicamente genovese, nata dalla storpiatura del cognome dell'inventore americano Sir Benjamin Thompson Reichgraf von Rumford, che creò alla fine del 1700 questo focolare per agevolare la cottura dei cibi all'epoca. Probabilmente gli immigrati d'oltreoceano, introdussero questo termine nella parlata genovese per indicare proprio quel tipo di "moderno elettrodomestico".
E questo in particolare è un esemplare molto moderno per l'epoca.Completamete in muratura ma, a differenza di altri che si possono ancora trovare nelle case di campagna, rivistiti di mattonelle, solitamente di ceramica bianca, questo ha un "cappotto" di ghisa, per mantenere più a lungo il calore emesso dalla stufa centrale.
Nel ritaglio di foto qui accanto, potete notare un recipiente di rame, che apparentemente può sembrare una pentola, invece, una volta riempito d'acqua, quest'ultima veniva scaldata per induzione dalla stufa centrale, per, infine, alimentare il rubinetto sottostante, e avere una "scorta" pronta di acqua calda.



Al suo fianco un lavello di marmo, in tipico stile genovese, fantastico.


Per queste due ultime foto devo ringraziare la padrona di casa, che su mia richiesta, molto gentilmente mi ha concesso di scattare.

Bene, ecco, come si presentava la cucina di una famiglia ricca sul finire del XIX secolo.
E secondo voi non mi sono chiesta cosa avrebbe potuto mangiare Paul Valèry durante una di quelle cene di società che sicuramente gli zii Cabella avranno dato in suo onore?

Alla prossima, stay tuned!
POLLO IN CASSERUOLA IN ONORE DI PAUL VALERY

Piccola postilla: grazie alla signora Michela di Genova Insieme per la sua gentilezza e per averci fatto da guida, e grazie alla padrona di "Casa Valéry" per averci accolto nella sua dimora.